Il tumore della mammella.
Quante donne, quante ragazze incontro quando vado al day ospital a fare la chemioterapia.
Per fortuna le notizie sono buone nel senso che
si guarisce molto spesso anche se i trattamenti
non sono semplici da accettare e sopportare ma,
per questo credo che le donne abbiano una marcia in più.
Che cos'è il tumore della mammella
Con il termine tumore della mammella s’intendono ormai correntemente molte diverse condizioni di malattia di quest’organo femminile.
In realtà, come tutti i tumori, anche quelli della mammella, possono essere benigni o maligni: i primi sono chiamati anche fibroadenomi, i secondi sono sostanzialmente i carcinomi.
I fibroadenomi sono frequenti nelle donne giovani, soprattutto in quelle che non hanno ancora avuto gravidanze. Non rappresentano un pericolo e si asportano chirurgicamente solo se crescono rapidamente di dimensioni oppure se cambiano aspetto o forma.
I carcinomi sono i tumori maligni che colpiscono la ghiandola mammaria, un complesso e sofisticato insieme di cellule molto ben organizzate fra loro e programmate dalla natura per una sola e fondamentale funzione: produrre il latte che nutrirà il neonato. Le cellule della ghiandola mammaria sono di due tipi:
e cellule duttali, cosiddette perché formano i dotti (o condotti) che portano il latte al capezzolo e quindi alla bocca del neonato.
Se la cellula che si trasforma in maligna appartiene a un lobulo, si avrà un carcinoma lobulare; se la trasformazione maligna avviene in un dotto, si avrà un carcinoma duttale. Il processo di trasformazione verso la malignità è relativamente lento, e caratterizzato da varie fasi: una prima fase in cui il carcinoma cresce nella zona anatomica in cui è nato e per questo definito in situ, seguita da una fase in cui diventa infiltrante della stessa zona, e per questo definito infiltrante (o invasivo). Quindi non bisogna spaventarsi se si legge ‘carcinoma mammario duttale (o lobulare) infiltrante (o invasivo’, perché questo vuol dire semplicemente che il carcinoma è stato trovato in un dotto (o lobulo) e che è cresciuto fino al punto di infiltrarlo. Non vuol dire quindi che il tumore ha cominciato a invadere l’intero organismo.
Le informazioni riportate in questo capitolo sono tratte da: A. Costa, Donne e tumore al seno, O.N.D.A. Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (www.ondaosservatorio.it).
Il tumore al seno è responsabile fin del 25% di tutte le nuove diagnosi di cancro ricevute dalle donne in tutto il mondo.
La stima arriva dall'American Cancer Society (Acs) e porta l'attenzione sul peso di questa malattia sulla salute della popolazione del pianeta, dove oggi rappresenta la principale causa di decesso per tumori fra le abitanti dei Paesi in Via di Sviluppo e la seconda – dopo quello ai polmoni – nelle nazioni industrializzate.
Anche se la maggior parte delle diagnosi e dei decessi per tumore al seno riguardano i Paesi in Via di Sviluppo, dove la loro incidenza sta aumentando gradualmente, il numero di casi per 100 mila donne è più alto in Europa, Stati Uniti e Canada.
Tuttavia, le scarse possibilità di accesso ai trattamenti e le diagnosi più tardive fanno sì che i tassi di decesso siano più elevati nei Paesi in Via di Sviluppo; infatti nei Paesi occidentali le diagnosi precoci, più frequenti, aumentano la probabilità di avere a disposizione una cura in grado di sconfiggere la malattia, e l'accesso ai trattamenti è più diffuso.
Diagnosi e cure non sono però gli unici fattori in gioco.
A suggerirlo è l'analisi dell'incidenza della malattia fra gli abitanti degli Stati Uniti, diversa a seconda dell'etnia presa in considerazione; in particolare, il tumore al seno è meno frequente fra i Nativi Americani e dell'Alaska, fra chi è originario delle isole del Pacifico e dell'Asia e fra gli ispanici.
Queste differenze potrebbero essere dovute alle diverse tendenze riproduttive (le donne bianche, ad esempio, tendono a posticipare di più la gravidanza e ad avere meno figli), al ricorso alla terapia ormonale sostitutiva in menopausa e al peso corporeo medio delle diverse etnie.
Infatti fra i fattori potenzialmente responsabili del cancro al seno sono inclusi i cambiamenti ormonali determinati dal numero delle gravidanze e dall'età alla quale sono state affrontate e dal numero dei figli avuti. Il rischio è più elevato nelle donne che non hanno mai portato a termine una gravidanza o che hanno partorito per la prima volta dopo i 30 anni, probabilmente a causa di una maggiore esposizione agli estrogeni e al progesterone durante i cicli mestruali, che viene invece ridotta dalla gravidanza e dall'allattamento.
Per lo stesso motivo il rischio di tumore al seno sembra aumentare quando si ha la prima mestruazione a un'età molto giovane e se si affronta la menopausa a un'età molto avanzata. Inoltre anche l'assunzione di ormoni può aumentare il rischio di tumore al seno, in particolare se si ricorre per almeno 5 anni all'uso della terapia ormonale sostituiva e se si assumono pillole contraccettive a base di estrogeni e progestinici avendo casi di tumori al seno in famiglia, geni che predispongono all'insorgenza del tumore al seno o problemi alle cellule della mammella pregressi.
Gli ormoni entrano in gioco anche in caso di obesità. Infatti l'adipe può aumentare i livelli di estrogeni in circolazione, soprattutto dopo la menopausa, e può essere associato all'aumento del rischio di cancro al seno. Un ruolo potrebbe però essere giocato anche da quello che si mangia; sembra infatti che un'alimentazione ricca di zuccheri possa favorire la crescita e la diffusione del tumore, mentre un eccesso di grassi saturi potrebbe aumentarne il rischio. In effetti, le nazioni africane e asiatiche in cui si tende a mangiare meno zuccheri, meno grassi saturi e meno cibi processati sono caratterizzate da una minore incidenza di tumore al seno.
Su alcuni di questi fattori di rischio è possibile agire attivamente per ridurre il rischio di sviluppare un tumore al seno. In particolare,le donne dovrebbero agire sul loro stile di vita per mantenere il peso della norma, limitare il ricorso alla terapia ormonale sostituiva in menopausa, non eccedere con il consumo di alcolici oltre un massimo di un bicchiere al giorno ed evitare la sedentarietà, garantendosi invece un'attività fisica regolare.
Fonte Redazione Sole 24 Ore
BUONA CAUSA
Enrico è un malato oncologico al quale i medici hanno dato poche speranze ma, la sua voglia di vivere lo porta a combattere e convivere giornalmente con la malattia. Ovviamente è fermo con il lavoro da libero professionista dal settembre del 2016, gli hanno riconosciuto l' invalidità del 100/100 con inabilità al lavoro; per la quale percepisce una pensione mensile di 289,80 euro e non ha altri redditi e un ISEE pari a zero.
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